Storia della Cattedrale di Acqui Terme

 

La fondazione, la collocazione

e la forma primitiva dell’edificio

Acqui Terme è antica sede

episcopale, fin dal IV secolo d.C.

se si considera attendibile

la tradizione secondo cui a fondarla

fu San Maggiorino, primo vescovo

della città. La più antica testimonianza

epigrafica che riporta il nome

di un presule acquese, quello

di Ditario, è del 488. La prima

attestazione, sempre su

epigrafe, di una sepoltura

cristiana risale invece al 401.

Santa Maria Maggiore –

questa è la prima dedicazione

del duomo – fu preceduta nel

concentrico della città da

un’altra sede vescovile

intitolata alla Vergine.

Quest’ultima, che era ancora

officiata durante l’edificazione

dell’odierna cattedrale, poteva

essere dislocata verso la

chiesa di Santa Maria Piccola

o Rotonda, divenuta nel XVI

secolo oratorio della

“Confraternita dei Dottori”.

Tale ipotesi è suggerita

soprattutto dal ritrovamento

di diverse sepolture

paleocristiane nell’area

prospiciente l’oratorio. È

quindi possibile che il duomo

acquese sia sorto con proprie

fondamenta a fianco, e non

sopra, una precedente

cattedrale.

Fu il vescovo Primo (991-

1019) ad iniziare, forse dalla

cripta, la fabbrica del duomo,

che si legò alla rifondazione

spirituale della città e

all’acquisizione, agli inizi del

Mille, da parte dei vescovi del

potere temporale su Acqui e

sui luoghi circostanti.

Alla cattedrale in via di

costruzione il vescovo Dudone

(1023-1033) aggregò un

collegio canonicale che è

documentato risiedere in spazi

attigui ad essa già nel 1042.

Al suo successore, San Guido

(1034-1070), sono attribuiti il

completamento e la

consacrazione di Santa Maria

Maggiore, avvenuta

nell’anno 1067. Questa data

si legge sul mosaico

rinvenuto nel 1845 sotto il

pavimento del presbiterio e

ora conservato presso il

Museo Civico d’Arte Antica

di Torino ed è inoltre incisa

sul portale maggiore della

chiesa, realizzato nel 1481.

La cattedrale – che ha pianta a

croce latina e transetto

aggettante – benché

rimaneggiata e modificata nel

corso dei secoli a più riprese si

presenta all’indagine delle

forme originali piuttosto

unitaria.

Iniziando dall’esterno con la

facciata – originariamente

priva del pronao, del

campanile, del rosone e degli

ingressi laterali – si nota che

era caratterizzata da una

decorazione ad archetti pensili

continui interrotti da due

lesene che ‘segnavano’ la

navata centrale e delimitavano

il primitivo portale, forse

dotato di protiro.

Per quanto concerne i fianchi è

evidente il raddoppio delle

navate laterali, mentre quella

maggiore si è mantenuta

pressoché integra al pari degli

archetti pensili che la

delimitano in alto e delle sue

tre monofore.

La parte del complesso

architettonico che meglio si è

conservata è quella absidale

(ben visibile imboccando sulla

sinistra della facciata via

Barone): delle cinque absidi

originarie è stata demolita solo

quella addossata al braccio sud

del transetto e quella

controlaterale è pervenuta per

metà. Le tre absidi centrali,

caratteristicamente “scalate”,

presentano monofore e

decorazioni originali,

caratterizzate da un partito ad

archetti binati per quelle

minori e ad archetti doppi

continui interrotti da due

lesene per la maggiore.

Dietro le absidi era situato il

cimitero e nei pressi il

campanile romanico sostituito

da quello attuale nel 1479.

Oltre questi, in alto, si ergeva il

castello vescovile, residenza

episcopale fino al 1258,

passato poi sotto il dominio dei

Marchesi del Monferrato.

Lungo il lato sud della

cattedrale sono visibili il

chiostro e le abitazioni dei

canonici, complesso risalente

nella forma odierna alla fine

del XV secolo ma documentato

a partire dal XII.

Il tiburio sormontato da

lanterna che si innalza

all’incrocio tra navata

maggiore e transetto è la

ricostruzione cinquecentesca di

uno precedente, notevolmente

più alto, fatto abbattere nel

1555 perché passibile di

rappresentare una minaccia per

il vicino maniero.

Questa sorta di torre, il lungo

transetto – sopraelevato nel

braccio meridionale a fine ’800

–, l’articolazione planimetrica e

lo slancio verticale dell’alzato

spingono a rapportare il

duomo acquese con gli esempi

dell’architettura monastica

fioriti sulla scia della seconda

chiesa di Cluny (ad esempio il

monastero di San Salvatore a

Capo di Ponte in Valcamonica).

Se l’ideazione è da ricercarsi nel

mondo transalpino, “mediato”

probabilmente dall’abbazia di

Fruttuaria nel Canavese,

completata nel 1007, la

realizzazione tecnica è

attribuibile a maestranze

lombarde.

L’iniziale verticalità della

navata maggiore, analizzando

l’interno, è stata “moderata”

dalla decorazione barocca e

neoclassica, dall’apertura delle

cappelle laterali e soprattutto

dalla sostituzione della

copertura a capriate lignee,

estesa un tempo anche alle

navate minori, con le attuali

volte.

L’accesso al presbiterio

avveniva tramite uno scalone

comunicante con la navata

principale, il quale aveva ai lati

due scale che scendevano nella

cripta. Questa, estesa al di sotto

del transetto e del presbiterio, è

l’unico ambiente in cui si può

riconoscere una apparente

discontinuità delle strutture

antiche dell’edificio: infatti le

colonnine poste ai lati della

cripta, cioè sotto le estremità

del transetto aggettanti rispetto

alle navate minori, sono più

basse rispetto alle altre. Recenti

interventi archeologici hanno

però mostrato che tale diversità

era funzionale a dare maggior

slancio al centro del presbiterio

ospitante l’altare maggiore.

Le strutture primitive della

fabbrica, coperte da intonaci e

stucchi, presentano inoltre una

somiglianza con chiese

monastiche della zona, quali

Santa Giustina a Sezzadio e

San Remigio a Rivalta Bormida,

entrambe databili all’epoca del duomo.

 

L’evoluzione architettonica

Per comprendere in maniera

esauriente la trasformazione

subita dalle strutture della

cattedrale nel corso dei secoli,

fondamentale così come il

recupero della sua forma

primitiva, è necessario

analizzare cronologicamente i

vari interventi succedutisi.

Per gli inizi le fonti

archivistiche tacciono e

comunque non sembra che

prima del ’400 siano state

effettuate modifiche consistenti.

Nel 1479 si ultimò, con il

trasporto delle campane,

l’edificazione del nuovo

campanile, cioè quello che

ancora oggi si può ammirare

guardando il fronte anteriore

del duomo. Due anni dopo fu

terminato il portale maggiore

commissionato dal vescovo De

Regibus (1450-1484), lo stesso

che intorno al 1460 fece

completare il palazzo vescovile.

Il chiostro e la canonica,

probabilmente iniziati durante il

mandato del vescovo Bonifacio

Sismondi (1427-1450), furono

conclusi nel 1495: l’articolata

gamma di capitelli impiegata

nel chiostro è significativa della

lunga gestazione.

Tra la fine del XV secolo e i

primi tre decenni del XVI secolo

svariate cappelle signorili

vennero rinnovate, furono

ricostruiti l’altare maggiore e

quelli delle due absidi vicine e

nel 1530 si mise mano alle

volte della navata centrale:

queste, sostituite nel tardo ’700

dalle attuali e di cui si conserva

un’interessante chiave di volta

con San Guido che tiene in

mano la città, dovevano

presentarsi simili a quelle

ancora visibili nella navata

laterale sud, ossia costituite da

crociere costolonate. Di poco

precedente o contemporanea è

l’apertura del grande rosone in

facciata.

Si è già detto dell’abbattimento

dell’elevata torre nolare (1555),

sostituita nei decenni successivi

dal basso tiburio in mattoni

sormontato da lanterna. Nello

stesso lotto di lavori rientrò

anche la copertura ‘a botte’ dei

due bracci del transetto e del

coro e l’erezione della cupola

con pennacchi al centro del

presbiterio.

Poco dopo il 1585 furono

realizzate le due porte

rinascimentali che

fiancheggiano il portale

maggiore (quella a sud venne

aperta solo nel 1792) e il

vescovo Francesco dei Conti di

San Giorgio e Biandrate (1585-

1598) decise di far intonacare

l’interno, originariamente in

pietra a vista.

Degli anni intorno al 1614 è la

costruzione del portico in

facciata – il cosiddetto ‘pronao’

–, a colonne binate di pietra

arenaria, completato di volte

solo nel secolo successivo. Nel

1668 circa risulta compiuta la

decorazione barocca, a stucco e

affresco, voluta dal vescovo

Ambrogio Bicuti (1647-1675)

per l’abside centrale e la cupola.

Passando al XVIII secolo, nel

1734 fu riedificata l’aula

capitolare e nel 1769, per

ragioni di staticità, venne

costruita la voluta nord della

facciata.

Nel 1786 si diede avvio, sotto

l’impulso del vescovo Carlo

Luigi Buronzo (1785-1791), alla

fabbrica delle nuove cappelle

della parte del chiostro (del

quale nel frattempo fu demolito

il lato sud), nel 1788 la

riedificazione delle volte della

navata maggiore era terminata

e nel 1791 anche le cappelle del

lato nord vennero ultimate:

tutto ciò comportò ovviamente

lo smembramento degli antichi

altari.

Nel XIX secolo, tra 1845 e

1847, con i marmi forniti

dall’impresa Monteverde di

Genova si rinnovò la

pavimentazione della chiesa e

di quasi tutte le cappelle

laterali, oltre a risistemare il

fronte del presbiterio: lo

scalone centrale d’accesso al

coro fu demolito e con i

materiali recuperati si

costruirono le due grandi scale

laterali che portano alla

cappella del Santissimo

Sacramento e a quella di San

Guido. Inoltre si collocarono le

balaustre marmoree attorno al

presbiterio, si rivestì di marmo

il fronte della cripta e si costruì

il solenne pulpito sfruttando

frammenti provenienti da

antiche cappelle.

I lavori eseguiti tra fine ’700 e

la metà dell’800 determinarono

anche la riorganizzazione della

planimetria dell’edificio, che

passò dalle originarie tre navate

alle cinque.

Con il completamento, tra 1862

e 1864, della decorazione delle

volte della chiesa e di quelle

delle cappelle tardo

settecentesche – affreschi,

stucchi e indorature – e con il

rialzo e l’ornamento del

transetto sud nel 1879-80 si

chiude sostanzialmente la serie

degli interventi che, incidendo

sull’architettura e sull’estetica

del duomo, ne hanno

modificato nei secoli la facies

sino a conferirgli l’aspetto che

manifesta ai giorni nostri.

 

 

 

 

 

 

 

Visita guidata

dell’interno

(cappelle, chiostro,

presbiterio e cripta)

 

Superato l’iniziale impatto

con l’elaborata fioritura di

pitture e stucchi

ottocenteschi della volta

centrale, la visita dell’interno

inizia con il grande organo

collocato sulla cantoria della

controfacciata, costruito da

Guglielmo Bianchi nel 1874 e

dallo stesso ampliato nel

1885. Subito a destra

dell’ingresso principale si

nota inoltre un frammento

d’affresco, cinquecentesco,

raffigurante Santa Chiara.

Prima del XVIII secolo

esistevano certamente,

appoggiati alle pareti laterali,

varie cappelle e altari fissi; si

pensa potessero essere fino a

20. Con le trasformazioni

avvenute nel secolo XVIII,

esse si ridussero di numero e

vennero costruite quelle che

possiamo vedere attualmente.

Entrando, sulla destra, la

cappella del Crocifisso, già

dedicata a San Gerolamo, è

stata edificata recentemente

su progetto di Alessandro

Thea; sull’altare un Crocifisso

in avorio ricavato da

un’unica zanna di elefante.

La devozione per San Carlo

Borromeo, molto diffusa tra

gli acquesi, è all’origine della

costruzione della cappella

successiva dedicata

all’arcivescovo milanese;

iniziata dal vescovo Carlo

Luigi Buronzo verso il 1786,

essa fu terminata per volere

del vescovo Carlo Giuseppe

Sappa nel 1825, anno a cui

risale la pala d’altare.

Di fronte alla cappella di San

Carlo, a sinistra, quella della

Madonna delle Grazie, di

inizio ’900, disegnata

dall’architetto bolognese

Gualandi. La tela sopra

l’altare è una copia della

celeberrima Madonna di

Foligno di Raffaello.

A ridosso del quarto pilastro

è il prezioso pulpito sorretto

da una colonna scanalata e

realizzato tra il 1845 e il

1847 dalla ditta genovese

Monteverde riutilizzando

parte dei marmi di due

antichi altari della famiglia

Carmaglieri: da quello di San

Giacomo, ubicato in duomo e

risalente al 1513, provengono

i bassorilievi con San

Giovanni Battista e San

Giacomo Maggiore e con San

Pietro e San Guido; da quello

di San Guido, già in San

Francesco d’Acqui e datato

1520, derivano le figure di

San Guido in trono,

Sant’Antonio da Padova, San

Nicola da Tolentino e San

Maggiorino.

Subito dopo è l’accesso al

chiostro, ambiente suggestivo

architettonicamente in bilico

tra Gotico e Rinascimento: fu

infatti terminato nel 1495 dal

vescovo Costantino Marenco

utilizzando parti scultoree –

limitatamente al braccio

superiore sud –

commissionate verso il 1440

ad Albenga dal vescovo

Bonifacio Sigismondi (1427-

1450). Sotto i loggiati si

trovano frammenti di

cappelle cinquecentesche,

come i bassorilievi

raffiguranti San Rocco e San

Sebastiano provenienti

dall’altare della famiglia

Della Porta, unitamente a

sculture più antiche.

Ritornati in chiesa si sale alla

cappella del Santissimo

Sacramento, con altare e

balaustra databili al 1783-86,

decorazioni pittoriche e pala

al 1880.

Nell’absidiola destra si apre

la cappella in stile rococò

dedicata alla Madonna del

Rosario, voluta dal vescovo

acquese Giovanni Ambrogio

Bicuti (1647-1675) e portata

a termine dal vescovo Carlo

Gozzani (1675-1721). I

quindici misteri del Rosario,

splendidi medaglioni

attribuiti al pittore Giovanni

Monevi (1662), circondano la

statua lignea della Madonna

dovuta all’attività dello

scultore Garzoni di Cassine

(1679).

Dall’absidiola si passa alla

vasta sacrestia ‘dei

Cappellani’, con imponente

arredo ligneo del decennio

1740, e quindi alla preziosa

sala del Capitolo, esempio di

barocco piemontese, i cui

stalli intarsiati si devono al

maestro Silvestro de Silvestri

e datano al 1734. L’aula

capitolare contiene tre gioielli

d’arte: il trittico della

“Madonna di Montserrat

(vedi box); l’Annunciazione

dipinta nel 1645 dal

genovese Valerio Castello; e

la tavola con San Guido e i

quattro Dottori della Chiesa

databile al 1496 di scuola

lombarda.

Rientrati in cattedrale si

passa all’abside centrale.

L’affresco (1668) che chiude

l’armoniosa volta coperta da

stucchi rappresenta al centro

San Guido con il duomo sulle

ginocchia, a sinistra San

Maggiorino, primo vescovo di

Acqui, e a destra

Sant’Ambrogio. L’autore di

queste pitture, il visonese

Giovanni Monevi, realizzò

nello stesso momento anche

gli altri affreschi del catino

absidale (tra cui l’Ultima

Cena, il Compianto su Cristo

morto, l’Incontro di Maria

addolorata con Giovanni e

altri Apostoli) e la grande

pala con l’Assunzione della

Vergine che campeggia dietro

l’altare maggiore.

Quest’ultimo fu costituito

intorno al 1865 utilizzando

marmi quattrocinquecenteschi

provenienti

da cappelle smantellate della

cattedrale: innanzitutto i

pannelli marmorei scolpiti

nel 1480 dal Pilacorte per la

cappella di San Gerolamo,

appartenente alla famiglia

Aynardi, e cioè il pezzo con

Santa Paola, la figlia

Eustochio e il Bambino e

quello con San Gerolamo e il

leone; quindi le tre lastre che

raffigurano l’arcangelo

Gabriele, la Madonna

Annunziata e la Crocifissione

con Maria e San Giovanni,

opere del primo ’500

senz’altro attribuibili a una

medesima mano; infine una

vigorosa Madonna col Bimbo,

due angeli col turibolo,

un’Ultima cena e una

Resurrezione scolpiti forse a

metà del XVI secolo per una

cappella non ancora

identificata. Alla fabbrica

tardo ottocentesca, cioè al

decennio 1860 circa, risale il

coro ligneo.

Un discorso a parte merita il

mosaico – riportato alla luce

nel 1845 durante i lavori per

la nuova pavimentazione

della cattedrale – che in

origine riscopriva tutto il

presbiterio della chiesa, una

delle più sofisticate ed

eleganti raffigurazioni

eseguite nell’Italia

settentrionale e in Piemonte.

I resti del decorazione

musiva, conservati a Palazzo

Madama di Torino, sono

costituiti da tredici frammenti

con tasselli in marmo bianco

e nero posati sulla originale

malta rosata e rappresentano

vari episodi tra cui una testa

di profilo posta su una

grande ala con ai lati due

uccelli, un fregio con cinque

figure e una fascia con

cornice dentata e greca con

animali.

Il mosaico di Acqui ha una

datazione tradizionale al

1067, che si è appoggiata alla

testimonianza dell’iscrizione

che narra della ricostruzione

della cattedrale ad opera del

vescovo Guido (WIDONE

PONTEFICE VIRO PRUDENTISSIMO) e

della sua consacrazione nel

1067. Tuttavia le strette

affinità stilistiche e

compositive che legano i

frammenti di Acqui all’antica

pavimentazione della

cattedrale di Novara,

consacrata nel 1132,

inducono a spostare la

cronologia ai primi decenni

del XII, durante il vescovato

di Azzone (1098-1135), che

volle forse ricordare la figura

del suo grande predecessore

Guido.

Continuando la visita, nel

braccio sinistro del transetto

si passa alla cappella di San

Guido, nella quale è

custodita l’urna che contiene

i resti mortali del Santo

patrono. L’attuale altare in

stile barocco fu fatto erigere

nel 1730 a compimento di un

voto dalla Civica

Amministrazione e fu

consacrato nel 1655: la tela

che lo orna – San Guido

intercede per la città di

Acqui presso la Madonna – è

stata dipinta dal maestro

David Corte nel 1645. Nelle

nicchie ai lati sono collocate

due statue in pietra di

Vicenza, San Maggiorino e

San Paolo della Croce.

Nella piccola abside di

sinistra si trova la cappella

dell’Immacolata Concezione,

dalle volte rococò coperte di

stucchi del 1766 e con statua

marmorea dello stesso

periodo.

Ritornati al piano delle

navate si può scendere nella

cripta, ambiente suggestivo

esteso a tutto il transetto:

sebbene abbia subito

trasformazioni nel corso dei

secoli, conserva l’atmosfera

dell’originaria cattedrale,

grazie anche ad una vera e

propria ‘foresta’ di

colonnine, ben 98. Il recente

altare centrale fu costruito

per un voto della

cittadinanza durante la

seconda guerra mondiale.

Oltre a questo ve ne sono

altri quattro: quello del

Cristo Morto, in fondo a

destra, con accanto un’urna

secentesca che fino al 1933

ha contenuto il corpo di San

Guido; quindi l’altare di

Sant’Antonio, con la statua

del santo taumaturgo; a

sinistra, dalla parte opposta,

l’altare di San Giuseppe e

infine l’altare di quella che è

detta la “cappella dei

Vescovi”. Sul pilone di

sinistra un semplice affresco

del ’400 raffigura

Sant’Antonio Abate,

protettore degli animali la

cui devozione era assai

diffusa. Lungo le pareti

alcuni frammenti plastici:

molto interessante quello del

Cristo risorgente del 1515.

Usciti dalla cripta,

percorrendo la navata nord

in direzione dell’uscita si

incontra la cappella della

Madonna delle Grazie,

ricostruita in stile eclettico

forse agli inizi del Novecento

dall’architetto Gualandi.

Dopo tre cappelle prive di

particolari pregi si può

ammirare il raccolto

Battistero, opera del 1771

dell’architetto Robilant,

disegnato nel 1769 e

terminato nel 1786. I delicati

stucchi e l’elaborato fonte

composto nel 1764 dal

luganese Angelo Maria

Ganna costituiscono

un’armoniosa realizzazione rococò.

 

Il portale maggiore

La facciata del duomo è

impreziosita dallo splendido

portale protorinascimentale

realizzato dallo scultore Giovanni

Antonio Pilacorte da Carona nel

1481 su commissione del vescovo

di Acqui Tommaso De Regibus.

L’artista campionese, un anno

prima, aveva scolpito alcune

pregevoli opere per la chiesa

dell’Annunziata che purtroppo

sono andate perdute.

Partendo dall’alto, la lunetta

presenta la Gloria di Maria

assunta in cielo: con gli Apostoli

estasiati presso la tomba

scoperchiata e con attorno lo

stuolo di angeli che accompagna

la Vergine sorreggendola, è tutta

la natura – espressa nella cornice

con elementi del mondo vegetale

e animale – a partecipare a

questo trionfo.

Ai lati della lunetta, i leoni

stilofori posti su mensole

potrebbero derivare dal protiro

romanico della primitiva

cattedrale.

Nell’architrave si trovano le teste

dei quattro dottori della Chiesa:

San Gregorio Papa, Sant’Ambrogio,

San Gerolamo, Sant’Agostino.

A metà dello stipite di sinistra è

scolpita la figura di San

Maggiorino, che la tradizione

vuole primo vescovo della città nel

325. Su quello di destra, sempre a

metà, San Guido con un’iscrizione

latina che ricorda la data della

consacrazione della cattedrale ad

opera proprio del Santo Patrono.

Da un punto di vista stilistico il

portale si presenta come un’opera

di transizione tra il Gotico e il

Rinascimento: gli elementi

strutturali e decorativi sono infatti

classici ma i volti scavati e incisi e

il fantastico repertorio di animali e

vegetali della parte alta sono

tipicamente tardogotici, sensibili

alla formazione borgognona dello scultore.

 

Gli affreschi della volta

centrale e della cupola

L’elaborata decorazione ad

affresco della volta centrale

risale al XIX secolo, più

precisamente a poco prima del

1863, ed è opera di Pietro Maria

Ivaldi, detto “il Muto” (1810-

1885) perché da ragazzo fu colto

da una forte febbre che gli causò

la perdita dell’udito e della

parola. Il programma

iconografico prevede nella parte

mediana dodici Profeti (i quattro

maggiori – Isaia, Ezechiele,

Daniele, Geremia –, e otto minori

Michea, Giona, Naum, Abdia,

Amos, Osea, Gioele, Abacuc), a

destra scene della vita della

Vergine e a sinistra episodi riferiti

a Gesù. Il messaggio è evidente:

l’annuncio dei Profeti si compie

espressamente prima nella

Madonna e quindi con Cristo. Il

Muto dipinse anche i pennacchi

della cupola dove sono raffigurati

i quattro Evangelisti, che fanno

così da “sostegno” al Trionfo di

Dio, affresco di autore

sconosciuto. In esso, di grande

effetto per il movimento dei

personaggi, le espressioni e il

contrasto delle luci, la forza

vincente del Bene sconfigge

Lucifero, espressione del Male,

che precipita negli abissi.

 

Madonna di Montserrat

Quest’eccelsa opera di Bartolomé

Bermejo, che in latino si firmava

Bartolomeus Rubeus, fu

commissionata a Valencia intorno

al 1480 da Francesco Della

Chiesa, acquese residente in

Spagna con avviati commerci, per

essere collocata nella cappella di

famiglia che stava per essere

eretta in cattedrale (ora è inserita

nell’altare settecentesco dell’aula

capitolare dopo essere rimasta in

più luoghi della cattedrale). La

tavola centrale raffigura la

Vergine di Montserrat con il

Bambino e il donatore. La

Madonna è appoggiata a una sega

(Montserrat, dove sorge il celebre

santuario catalano, significa

infatti monte dentellato) tenendo

in braccio dolcemente Gesù,

proteso verso un cardellino che

vola, legato ad un filo, nella

direzione di un monaco che si

intravede essere appoggiato ad un

balcone del monastero. L’armonia

dei colori, dei movimenti e dei

particolari sono frutto di un

grande esponente della pittura

‘ispano-fiamminga’ del tardo ’400:

il Bermejo, attivo nella seconda

metà del XV secolo a Valencia, in

Aragona e a Barcellona, andò

certamente nelle Fiandre per

studiare la tecnica della pittura a

olio, declinandola poi con un

temperamento e un gusto

tipicamente spagnoli. La ante del

trittico presentano la Nascita della

Vergine (in alto a sinistra), San

Francesco che riceve le stimmate

(in basso a sinistra), la

Purificazione (in alto a destra) e

San Sebastiano (in basso a destra),

qui rappresentato come un

pellegrino con le frecce in mano.

Nella parte esterna delle ante,

ammirabile quando sono chiuse,

l’Annunciazione. La decorazione

delle ante fu terminata da artisti

valenciani, forse da Rodrigo di

Osona (padre e figlio) e dalla loro

bottega.