Storia della Cattedrale di Acqui Terme
La fondazione, la collocazione
e
la forma primitiva dell’edificio
Acqui
Terme è antica sede
episcopale,
fin dal IV secolo d.C.
se
si considera attendibile
la
tradizione secondo cui a fondarla
fu
San Maggiorino, primo vescovo
della
città. La più antica testimonianza
epigrafica
che riporta il nome
di
un presule acquese, quello
di Ditario, è del 488. La prima
attestazione,
sempre su
epigrafe,
di una sepoltura
cristiana
risale invece al 401.
Santa Maria Maggiore –
questa è
la prima dedicazione
del
duomo – fu preceduta nel
concentrico
della città da
un’altra
sede vescovile
intitolata
alla Vergine.
Quest’ultima, che era ancora
officiata
durante l’edificazione
dell’odierna
cattedrale, poteva
essere
dislocata verso la
chiesa di
Santa Maria Piccola
o
Rotonda, divenuta nel XVI
secolo
oratorio della
“Confraternita dei Dottori”.
Tale ipotesi è suggerita
soprattutto
dal ritrovamento
di
diverse sepolture
paleocristiane
nell’area
prospiciente
l’oratorio. È
quindi
possibile che il duomo
acquese
sia sorto con proprie
fondamenta a
fianco, e non
sopra,
una precedente
cattedrale.
Fu il vescovo Primo (991-
1019) ad iniziare, forse dalla
cripta,
la fabbrica del duomo,
che
si legò alla rifondazione
spirituale
della città e
all’acquisizione,
agli inizi del
Mille, da parte dei vescovi del
potere
temporale su Acqui e
sui
luoghi circostanti.
Alla
cattedrale in via di
costruzione
il vescovo Dudone
(1023-1033)
aggregò un
collegio canonicale che è
documentato
risiedere in spazi
attigui
ad essa già nel 1042.
Al suo successore, San Guido
(1034-1070),
sono attribuiti il
completamento e
la
consacrazione
di Santa Maria
Maggiore, avvenuta
nell’anno
1067. Questa data
si
legge sul mosaico
rinvenuto
nel 1845 sotto il
pavimento
del presbiterio e
ora
conservato presso il
Museo Civico d’Arte Antica
di
Torino ed è inoltre incisa
sul
portale maggiore della
chiesa,
realizzato nel 1481.
La cattedrale – che ha
pianta a
croce
latina e transetto
aggettante –
benché
rimaneggiata e
modificata nel
corso
dei secoli a più riprese si
presenta
all’indagine delle
forme
originali piuttosto
unitaria.
Iniziando dall’esterno con la
facciata –
originariamente
priva
del pronao, del
campanile,
del rosone e degli
ingressi
laterali – si nota che
era
caratterizzata da una
decorazione
ad archetti pensili
continui
interrotti da due
lesene
che ‘segnavano’ la
navata
centrale e delimitavano
il
primitivo portale, forse
dotato
di protiro.
Per quanto concerne i fianchi è
evidente
il raddoppio delle
navate
laterali, mentre quella
maggiore
si è mantenuta
pressoché
integra al pari degli
archetti
pensili che la
delimitano
in alto e delle sue
tre
monofore.
La parte del complesso
architettonico
che meglio si è
conservata è
quella absidale
(ben
visibile imboccando sulla
sinistra
della facciata via
Barone): delle cinque absidi
originarie è
stata demolita solo
quella
addossata al braccio sud
del
transetto e quella
controlaterale è
pervenuta per
metà. Le tre absidi centrali,
caratteristicamente
“scalate”,
presentano
monofore e
decorazioni
originali,
caratterizzate
da un partito ad
archetti
binati per quelle
minori e
ad archetti doppi
continui
interrotti da due
lesene
per la maggiore.
Dietro le absidi era situato il
cimitero e
nei pressi il
campanile
romanico sostituito
da
quello attuale nel 1479.
Oltre questi,
in alto, si ergeva il
castello
vescovile, residenza
episcopale
fino al 1258,
passato
poi sotto il dominio dei
Marchesi del Monferrato.
Lungo il lato sud della
cattedrale
sono visibili il
chiostro e
le abitazioni dei
canonici,
complesso risalente
nella
forma odierna alla fine
del
XV secolo ma documentato
a
partire dal XII.
Il tiburio sormontato da
lanterna
che si innalza
all’incrocio
tra navata
maggiore e
transetto è la
ricostruzione
cinquecentesca di
uno
precedente, notevolmente
più
alto, fatto abbattere nel
1555 perché passibile di
rappresentare
una minaccia per
il
vicino maniero.
Questa sorta di torre, il lungo
transetto –
sopraelevato nel
braccio
meridionale a fine ’800
–, l’articolazione planimetrica e
lo
slancio verticale dell’alzato
spingono a
rapportare il
duomo acquese con gli esempi
dell’architettura
monastica
fioriti
sulla scia della seconda
chiesa
di Cluny (ad esempio il
monastero
di San Salvatore a
Capo di Ponte in Valcamonica).
Se l’ideazione è da
ricercarsi nel
mondo
transalpino, “mediato”
probabilmente
dall’abbazia di
Fruttuaria
nel Canavese,
completata
nel 1007, la
realizzazione
tecnica è
attribuibile a
maestranze
lombarde.
L’iniziale verticalità della
navata
maggiore, analizzando
l’interno,
è stata “moderata”
dalla
decorazione barocca e
neoclassica,
dall’apertura delle
cappelle
laterali e soprattutto
dalla
sostituzione della
copertura a
capriate lignee,
estesa
un tempo anche alle
navate
minori, con le attuali
volte.
L’accesso al presbiterio
avveniva
tramite uno scalone
comunicante
con la navata
principale,
il quale aveva ai lati
due
scale che scendevano nella
cripta. Questa, estesa al di sotto
del
transetto e del presbiterio, è
l’unico
ambiente in cui si può
riconoscere
una apparente
discontinuità
delle strutture
antiche
dell’edificio: infatti le
colonnine
poste ai lati della
cripta,
cioè sotto le estremità
del
transetto aggettanti rispetto
alle
navate minori, sono più
basse
rispetto alle altre. Recenti
interventi
archeologici hanno
però
mostrato che tale diversità
era
funzionale a dare maggior
slancio
al centro del presbiterio
ospitante
l’altare maggiore.
Le strutture primitive della
fabbrica,
coperte da intonaci e
stucchi,
presentano inoltre una
somiglianza
con chiese
monastiche
della zona, quali
Santa Giustina a Sezzadio
e
San Remigio a Rivalta
Bormida,
entrambe
databili all’epoca del duomo.
L’evoluzione architettonica
Per comprendere in maniera
esauriente
la trasformazione
subita
dalle strutture della
cattedrale
nel corso dei secoli,
fondamentale
così come il
recupero
della sua forma
primitiva,
è necessario
analizzare
cronologicamente i
vari
interventi succedutisi.
Per gli inizi le fonti
archivistiche
tacciono e
comunque
non sembra che
prima
del ’400 siano state
effettuate
modifiche consistenti.
Nel 1479 si ultimò, con il
trasporto
delle campane,
l’edificazione
del nuovo
campanile,
cioè quello che
ancora
oggi si può ammirare
guardando
il fronte anteriore
del
duomo. Due anni dopo fu
terminato
il portale maggiore
commissionato
dal vescovo De
Regibus
(1450-1484), lo stesso
che
intorno al 1460 fece
completare
il palazzo vescovile.
Il chiostro e la canonica,
probabilmente
iniziati durante il
mandato
del vescovo Bonifacio
Sismondi
(1427-1450), furono
conclusi
nel 1495: l’articolata
gamma
di capitelli impiegata
nel
chiostro è significativa della
lunga
gestazione.
Tra la fine del XV
secolo e i
primi
tre decenni del XVI secolo
svariate
cappelle signorili
vennero
rinnovate, furono
ricostruiti
l’altare maggiore e
quelli
delle due absidi vicine e
nel
1530 si mise mano alle
volte
della navata centrale:
queste, sostituite
nel tardo ’700
dalle
attuali e di cui si conserva
un’interessante
chiave di volta
con
San Guido che tiene in
mano
la città, dovevano
presentarsi
simili a quelle
ancora
visibili nella navata
laterale
sud, ossia costituite da
crociere costolonate. Di poco
precedente o
contemporanea è
l’apertura
del grande rosone in
facciata.
Si è già detto dell’abbattimento
dell’elevata
torre nolare (1555),
sostituita
nei decenni successivi
dal
basso tiburio in mattoni
sormontato
da lanterna. Nello
stesso
lotto di lavori rientrò
anche
la copertura ‘a botte’ dei
due
bracci del transetto e del
coro e
l’erezione della cupola
con
pennacchi al centro del
presbiterio.
Poco dopo il 1585 furono
realizzate
le due porte
rinascimentali
che
fiancheggiano
il portale
maggiore
(quella a sud venne
aperta
solo nel 1792) e il
vescovo
Francesco dei Conti di
San Giorgio e Biandrate
(1585-
1598) decise di far intonacare
l’interno,
originariamente in
pietra a
vista.
Degli anni intorno al 1614 è la
costruzione
del portico in
facciata –
il cosiddetto ‘pronao’
–, a colonne binate di pietra
arenaria,
completato di volte
solo
nel secolo successivo. Nel
1668 circa risulta
compiuta la
decorazione
barocca, a stucco e
affresco,
voluta dal vescovo
Ambrogio Bicuti
(1647-1675)
per
l’abside centrale e la cupola.
Passando al XVIII secolo, nel
1734 fu riedificata l’aula
capitolare e
nel 1769, per
ragioni
di staticità, venne
costruita
la voluta nord della
facciata.
Nel 1786 si diede avvio, sotto
l’impulso
del vescovo Carlo
Luigi Buronzo
(1785-1791), alla
fabbrica
delle nuove cappelle
della
parte del chiostro (del
quale
nel frattempo fu demolito
il
lato sud), nel 1788 la
riedificazione
delle volte della
navata
maggiore era terminata
e
nel 1791 anche le cappelle del
lato
nord vennero ultimate:
tutto
ciò comportò ovviamente
lo
smembramento degli antichi
altari.
Nel
XIX secolo, tra 1845 e
1847, con i marmi forniti
dall’impresa
Monteverde di
Genova si rinnovò la
pavimentazione
della chiesa e
di
quasi tutte le cappelle
laterali,
oltre a risistemare il
fronte
del presbiterio: lo
scalone
centrale d’accesso al
coro
fu demolito e con i
materiali
recuperati si
costruirono
le due grandi scale
laterali
che portano alla
cappella
del Santissimo
Sacramento e a quella di San
Guido. Inoltre si collocarono le
balaustre
marmoree attorno al
presbiterio,
si rivestì di marmo
il
fronte della cripta e si costruì
il
solenne pulpito sfruttando
frammenti
provenienti da
antiche
cappelle.
I lavori eseguiti tra fine ’700 e
la
metà dell’800 determinarono
anche
la riorganizzazione della
planimetria
dell’edificio, che
passò
dalle originarie tre navate
alle
cinque.
Con il completamento, tra 1862
e
1864, della decorazione delle
volte
della chiesa e di quelle
delle cappelle tardo
settecentesche – affreschi,
stucchi e
indorature – e con il
rialzo e
l’ornamento del
transetto
sud nel 1879-80 si
chiude
sostanzialmente la serie
degli
interventi che, incidendo
sull’architettura
e sull’estetica
del
duomo, ne hanno
modificato
nei secoli la facies
sino a
conferirgli l’aspetto che
manifesta
ai giorni nostri.
Visita guidata
dell’interno
(cappelle,
chiostro,
presbiterio
e cripta)
Superato l’iniziale impatto
con
l’elaborata fioritura di
pitture e
stucchi
ottocenteschi
della volta
centrale,
la visita dell’interno
inizia
con il grande organo
collocato
sulla cantoria della
controfacciata,
costruito da
Guglielmo Bianchi
nel 1874 e
dallo
stesso ampliato nel
1885. Subito a destra
dell’ingresso
principale si
nota
inoltre un frammento
d’affresco,
cinquecentesco,
raffigurante Santa
Chiara.
Prima del XVIII secolo
esistevano
certamente,
appoggiati
alle pareti laterali,
varie
cappelle e altari fissi; si
pensa
potessero essere fino a
20. Con le trasformazioni
avvenute
nel secolo XVIII,
esse
si ridussero di numero e
vennero
costruite quelle che
possiamo
vedere attualmente.
Entrando, sulla destra, la
cappella
del Crocifisso, già
dedicata a
San Gerolamo, è
stata
edificata recentemente
su
progetto di Alessandro
Thea; sull’altare un Crocifisso
in
avorio ricavato da
un’unica
zanna di elefante.
La devozione per San Carlo
Borromeo,
molto diffusa tra
gli acquesi, è all’origine della
costruzione
della cappella
successiva
dedicata
all’arcivescovo
milanese;
iniziata
dal vescovo Carlo
Luigi Buronzo verso
il 1786,
essa
fu terminata per volere
del
vescovo Carlo Giuseppe
Sappa
nel 1825, anno a cui
risale
la pala d’altare.
Di fronte alla cappella di San
Carlo,
a sinistra, quella della
Madonna delle Grazie, di
inizio
’900, disegnata
dall’architetto
bolognese
Gualandi.
La tela sopra
l’altare
è una copia della
celeberrima Madonna
di
Foligno di
Raffaello.
A ridosso del quarto pilastro
è
il prezioso pulpito sorretto
da
una colonna scanalata e
realizzato
tra il 1845 e il
1847 dalla ditta genovese
Monteverde
riutilizzando
parte
dei marmi di due
antichi
altari della famiglia
Carmaglieri:
da quello di San
Giacomo, ubicato in duomo e
risalente
al 1513, provengono
i
bassorilievi con San
Giovanni Battista e San
Giacomo Maggiore e
con San
Pietro e San Guido;
da quello
di
San Guido, già in San
Francesco d’Acqui e
datato
1520, derivano le figure di
San Guido in trono,
Sant’Antonio
da Padova, San
Nicola da Tolentino e San
Maggiorino.
Subito dopo è l’accesso al
chiostro,
ambiente suggestivo
architettonicamente
in bilico
tra
Gotico e Rinascimento: fu
infatti
terminato nel 1495 dal
vescovo
Costantino Marenco
utilizzando
parti scultoree –
limitatamente
al braccio
superiore
sud –
commissionate
verso il 1440
ad Albenga dal vescovo
Bonifacio Sigismondi (1427-
1450). Sotto i loggiati si
trovano
frammenti di
cappelle
cinquecentesche,
come i
bassorilievi
raffiguranti San
Rocco e San
Sebastiano provenienti
dall’altare
della famiglia
Della
sculture
più antiche.
Ritornati in chiesa si sale alla
cappella
del Santissimo
Sacramento, con altare e
balaustra
databili al 1783-86,
decorazioni
pittoriche e pala
al
1880.
Nell’absidiola
destra si apre
la
cappella in stile rococò
dedicata
alla Madonna del
Rosario, voluta dal vescovo
acquese
Giovanni Ambrogio
Bicuti
(1647-1675) e portata
a
termine dal vescovo Carlo
Gozzani
(1675-1721). I
quindici misteri
del Rosario,
splendidi
medaglioni
attribuiti
al pittore Giovanni
Monevi
(1662), circondano la
statua
lignea della Madonna
dovuta
all’attività dello
scultore
Garzoni di Cassine
(1679).
Dall’absidiola si
passa alla
vasta
sacrestia ‘dei
Cappellani’,
con imponente
arredo
ligneo del decennio
1740, e quindi alla preziosa
sala
del Capitolo, esempio di
barocco
piemontese, i cui
stalli
intarsiati si devono al
maestro
Silvestro de Silvestri
e
datano al 1734. L’aula
capitolare
contiene tre gioielli
d’arte:
il trittico della
“Madonna di Montserrat”
(vedi
box); l’Annunciazione
dipinta
nel 1645 dal
genovese
Valerio Castello; e
la
tavola con San Guido e i
quattro
Dottori della Chiesa
databile
al 1496 di scuola
lombarda.
Rientrati in cattedrale si
passa
all’abside centrale.
L’affresco (1668) che
chiude
l’armoniosa
volta coperta da
stucchi
rappresenta al centro
San Guido con il duomo sulle
ginocchia,
a sinistra San
Maggiorino,
primo vescovo di
Acqui,
e a destra
Sant’Ambrogio.
L’autore di
queste
pitture, il visonese
Giovanni Monevi,
realizzò
nello
stesso momento anche
gli
altri affreschi del catino
absidale
(tra cui l’Ultima
Cena, il Compianto
su Cristo
morto,
l’Incontro di Maria
addolorata
con Giovanni e
altri
Apostoli) e la grande
pala
con l’Assunzione della
Vergine
che campeggia dietro
l’altare
maggiore.
Quest’ultimo
fu costituito
intorno
al 1865 utilizzando
marmi quattrocinquecenteschi
provenienti
da
cappelle smantellate della
cattedrale:
innanzitutto i
pannelli
marmorei scolpiti
nel
1480 dal Pilacorte per la
cappella
di San Gerolamo,
appartenente
alla famiglia
Aynardi,
e cioè il pezzo con
Santa Paola, la figlia
Eustochio
e il Bambino e
quello
con San Gerolamo e il
leone;
quindi le tre lastre che
raffigurano
l’arcangelo
Gabriele,
la Madonna
Annunziata e
la Crocifissione
con
Maria e San Giovanni,
opere
del primo ’500
senz’altro
attribuibili a una
medesima
mano; infine una
vigorosa Madonna
col Bimbo,
due
angeli col turibolo,
un’Ultima
cena e una
Resurrezione scolpiti
forse a
metà
del XVI secolo per una
cappella
non ancora
identificata. Alla fabbrica
tardo
ottocentesca, cioè al
decennio
1860 circa, risale il
coro
ligneo.
Un discorso a parte merita il
mosaico –
riportato alla luce
nel
1845 durante i lavori per
la
nuova pavimentazione
della
cattedrale – che in
origine
riscopriva tutto il
presbiterio
della chiesa, una
delle
più sofisticate ed
eleganti
raffigurazioni
eseguite
nell’Italia
settentrionale e
in Piemonte.
I resti del decorazione
musiva,
conservati a Palazzo
Madama di Torino, sono
costituiti
da tredici frammenti
con
tasselli in marmo bianco
e
nero posati sulla originale
malta
rosata e rappresentano
vari
episodi tra cui una testa
di
profilo posta su una
grande
ala con ai lati due
uccelli,
un fregio con cinque
figure e
una fascia con
cornice
dentata e greca con
animali.
Il mosaico di Acqui ha una
datazione
tradizionale al
1067, che si è appoggiata alla
testimonianza
dell’iscrizione
che
narra della ricostruzione
della
cattedrale ad opera del
vescovo
Guido (WIDONE
PONTEFICE VIRO
PRUDENTISSIMO) e
della
sua consacrazione nel
1067. Tuttavia le strette
affinità
stilistiche e
compositive
che legano i
frammenti
di Acqui all’antica
pavimentazione
della
cattedrale
di Novara,
consacrata
nel 1132,
inducono a
spostare la
cronologia
ai primi decenni
del
XII, durante il vescovato
di Azzone (1098-1135), che
volle
forse ricordare la figura
del
suo grande predecessore
Guido.
Continuando la visita, nel
braccio
sinistro del transetto
si
passa alla cappella di San
Guido, nella quale è
custodita
l’urna che contiene
i
resti mortali del Santo
patrono. L’attuale altare in
stile
barocco fu fatto erigere
nel
voto
dalla Civica
Amministrazione e fu
consacrato
nel 1655: la tela
che
lo orna – San Guido
intercede
per la città di
Acqui
presso la Madonna – è
stata
dipinta dal maestro
David Corte
nel 1645. Nelle
nicchie
ai lati sono collocate
due
statue in pietra di
Vicenza, San
Maggiorino e
San Paolo della Croce.
Nella piccola abside di
sinistra
si trova la cappella
dell’Immacolata
Concezione,
dalle
volte rococò coperte di
stucchi
del 1766 e con statua
marmorea
dello stesso
periodo.
Ritornati al piano delle
navate
si può scendere nella
cripta,
ambiente suggestivo
esteso a
tutto il transetto:
sebbene
abbia subito
trasformazioni
nel corso dei
secoli,
conserva l’atmosfera
dell’originaria
cattedrale,
grazie anche
ad una vera e
propria
‘foresta’ di
colonnine,
ben 98. Il recente
altare
centrale fu costruito
per
un voto della
cittadinanza
durante la
seconda
guerra mondiale.
Oltre a questo ve ne sono
altri
quattro: quello del
Cristo Morto, in fondo a
destra,
con accanto un’urna
secentesca
che fino al 1933
ha
contenuto il corpo di San
Guido; quindi l’altare di
Sant’Antonio,
con la statua
del
santo taumaturgo; a
sinistra,
dalla parte opposta,
l’altare
di San Giuseppe e
infine
l’altare di quella che è
detta
la “cappella dei
Vescovi”. Sul pilone di
sinistra
un semplice affresco
del
’400 raffigura
Sant’Antonio
Abate,
protettore
degli animali la
cui
devozione era assai
diffusa. Lungo le pareti
alcuni
frammenti plastici:
molto
interessante quello del
Cristo risorgente del
1515.
Usciti dalla cripta,
percorrendo
la navata nord
in
direzione dell’uscita si
incontra
la cappella della
Madonna delle Grazie,
ricostruita
in stile eclettico
forse
agli inizi del Novecento
dall’architetto
Gualandi.
Dopo tre cappelle prive di
particolari
pregi si può
ammirare
il raccolto
Battistero, opera del 1771
dell’architetto
Robilant,
disegnato
nel 1769 e
terminato
nel 1786. I delicati
stucchi e
l’elaborato fonte
composto
nel 1764 dal
luganese
Angelo Maria
Ganna
costituiscono
un’armoniosa
realizzazione rococò.
Il portale maggiore
La facciata del duomo è
impreziosita
dallo splendido
portale
protorinascimentale
realizzato
dallo scultore Giovanni
Antonio Pilacorte
da Carona nel
1481 su commissione del vescovo
di
Acqui Tommaso De Regibus.
L’artista campionese,
un anno
prima,
aveva scolpito alcune
pregevoli
opere per la chiesa
dell’Annunziata
che purtroppo
sono
andate perdute.
Partendo dall’alto, la lunetta
presenta
la Gloria di Maria
assunta
in cielo: con gli Apostoli
estasiati
presso la tomba
scoperchiata
e con attorno lo
stuolo
di angeli che accompagna
la
Vergine sorreggendola, è tutta
la
natura – espressa nella cornice
con
elementi del mondo vegetale
e
animale – a partecipare a
questo
trionfo.
Ai lati della lunetta, i leoni
stilofori
posti su mensole
potrebbero
derivare dal protiro
romanico
della primitiva
cattedrale.
Nell’architrave si trovano le teste
dei
quattro dottori della Chiesa:
San Gregorio Papa, Sant’Ambrogio,
San Gerolamo, Sant’Agostino.
A metà dello stipite di sinistra è
scolpita
la figura di San
Maggiorino, che la tradizione
vuole
primo vescovo della città nel
325. Su quello di destra, sempre a
metà,
San Guido con un’iscrizione
latina
che ricorda la data della
consacrazione
della cattedrale ad
opera
proprio del Santo Patrono.
Da un punto di vista stilistico il
portale
si presenta come un’opera
di
transizione tra il Gotico e il
Rinascimento: gli elementi
strutturali
e decorativi sono infatti
classici
ma i volti scavati e incisi e
il
fantastico repertorio di animali e
vegetali
della parte alta sono
tipicamente
tardogotici, sensibili
alla
formazione borgognona dello scultore.
Gli affreschi della volta
centrale
e della cupola
L’elaborata decorazione ad
affresco
della volta centrale
risale
al XIX secolo, più
precisamente
a poco prima del
1863, ed è opera di Pietro Maria
Ivaldi,
detto “il Muto” (1810-
1885) perché da ragazzo fu colto
da
una forte febbre che gli causò
la
perdita dell’udito e della
parola. Il programma
iconografico
prevede nella parte
mediana
dodici Profeti (i quattro
maggiori
– Isaia, Ezechiele,
Daniele, Geremia –, e otto minori
– Michea, Giona,
Naum, Abdia,
Amos, Osea, Gioele, Abacuc),
a
destra
scene della vita della
Vergine e a sinistra
episodi riferiti
a
Gesù. Il messaggio è evidente:
l’annuncio
dei Profeti si compie
espressamente
prima nella
Madonna e quindi con Cristo. Il
Muto dipinse anche i pennacchi
della
cupola dove sono raffigurati
i
quattro Evangelisti, che fanno
così
da “sostegno” al Trionfo di
Dio, affresco di autore
sconosciuto. In esso,
di grande
effetto
per il movimento dei
personaggi,
le espressioni e il
contrasto
delle luci, la forza
vincente
del Bene sconfigge
Lucifero, espressione del Male,
che
precipita negli abissi.
Madonna di Montserrat
Quest’eccelsa
opera di Bartolomé
Bermejo, che in latino si firmava
Bartolomeus
Rubeus, fu
commissionata
a Valencia intorno
al
1480 da Francesco Della
Chiesa, acquese
residente in
Spagna con avviati commerci, per
essere
collocata nella cappella di
famiglia
che stava per essere
eretta
in cattedrale (ora è inserita
nell’altare
settecentesco dell’aula
capitolare
dopo essere rimasta in
più
luoghi della cattedrale). La
tavola
centrale raffigura la
Vergine di Montserrat
con il
Bambino e il donatore. La
Madonna è appoggiata a
una sega
(Montserrat,
dove sorge il celebre
santuario
catalano, significa
infatti
monte dentellato) tenendo
in
braccio dolcemente Gesù,
proteso
verso un cardellino che
vola,
legato ad un filo, nella
direzione
di un monaco che si
intravede
essere appoggiato ad un
balcone
del monastero. L’armonia
dei
colori, dei movimenti e dei
particolari
sono frutto di un
grande
esponente della pittura
‘ispano-fiamminga’
del tardo ’400:
il
Bermejo, attivo nella seconda
metà
del XV secolo a Valencia, in
Aragona e a Barcellona, andò
certamente
nelle Fiandre per
studiare
la tecnica della pittura a
olio,
declinandola poi con un
temperamento
e un gusto
tipicamente
spagnoli. La ante del
trittico
presentano la Nascita della
Vergine (in alto a sinistra), San
Francesco che riceve
le stimmate
(in
basso a sinistra), la
Purificazione (in alto a destra) e
San Sebastiano (in basso a destra),
qui
rappresentato come un
pellegrino
con le frecce in mano.
Nella parte esterna delle ante,
ammirabile
quando sono chiuse,
l’Annunciazione.
La decorazione
delle
ante fu terminata da artisti
valenciani,
forse da Rodrigo di
Osona
(padre e figlio) e dalla loro
bottega.